Artrite reumatoide

A cura del dott. Giuseppe Paolazzi
Reumatologo – Ospedale San Camillo – Trento
Già Direttore UOC Reumatologia – Ospedale S. Chiara – Trento

 

In breve

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria autoimmune cronica. È legata a meccanismi infiammatori che coinvolgono il nostro sistema immunitario (sistema che ci difende da agenti esterni) e che, in questo caso, si attiva contro tessuti del nostro organismo. Il principale bersaglio di questa risposta immune è la membrana sinoviale, una membrana che riveste all’interno le nostre articolazioni. L’artrite reumatoide va peraltro considerata una malattia sistemica potendo il processo infiammatorio coinvolgere non solo le articolazioni ma anche vari organi. Negli ultimi anni si è assistito a una radicale modifica delle strategie di trattamento che hanno contribuito a modificare radicalmente l’esito di malattia passando a malattia inesorabilmente evolutiva, deformante e progressiva con inevitabili invalidità, a malattia che, se diagnosticata precocemente e curata in maniera adeguata e tempestiva, in una elevata percentuale dei casi può andare in remissione o comunque in bassa attività con migliore evoluzione nel lungo tempo. I progressi scientifici sulle cause della malattia, le innovazioni sulla modalità di trattamento e la scoperta di farmaci più efficaci hanno modificato radicalmente il suo decorso. I punti fondamentali nell’approccio alla malattia sono: la necessità di una diagnosi precoce (entro i primi 2-3 mesi dall’esordio) per poter sfruttare quella che viene chiamata “finestra di opportunità”, periodo nel quale una terapia ben condotta può radicalmente modificare l’evoluzione della malattia e la necessità di una terapia che miri a un rapido controllo dell’infiammazione con obiettivo la remissione entro i primi 6 mesi dei sintomi o per lo meno l’ottenimento di una bassa attività di infiammazione, modificando se necessario la terapia con controlli clinici ravvicinati fino alla stabilizzazione della stessa. Queste strategie sono in grado di alleviare i sintomi, di controllare l’infiammazione, di modificare l’evoluzione impedendo/ritardando la progressione di malattia, favorendo così una migliore qualità di vita.

Definizione

L’artrite reumatoide è una poliartrite cronica simmetrica su base autoimmune che colpisce le articolazioni dotate di membrana sinoviale, a carattere aggiuntivo ed evoluzione spesso distruttiva, con possibile interessamento anche di altri tessuti dell’organismo, con coinvolgimento quindi anche extra-articolare.

Epidemiologia

L’artrite reumatoide è la malattia infiammatoria articolare più frequentemente diagnosticata. Il tasso di prevalenza varia da 0.3 a 1 %. In Italia la percentuale è dello 0.7% con una stima di 410.000 individui malati. L’incidenza è pari a circa 6 nuovi casi ogni 10.000 persone/anno. Sì è assistito, negli ultimi anni, ad un progressivo incremento del tasso di incidenza con l’avanzare dell’età e quindi ad un innalzamento dell’età media di esordio con picco ora dai 50 a 57 anni. La malattia è da 3 a 5 volte più comune nel sesso femminile rispetto a quello maschile mentre, nella popolazione anziana, l’incidenza tende a raggiungere la parità nei due sessi.

Conseguenze e costi

L’artrite reumatoide ha un significativo impatto sulla vita dei malati che ne sono colpiti. I dati epidemiologici degli anni prima del 2000 evidenziavano circa il 90% dei soggetti con qualche grado di disabilità entro i 20 anni dall’esordio, una percentuale del 22% in cui il malato era costretto ad abbandonare ogni tipo di lavoro ed il 10% con necessità di assistenza continuativa. Negli ultimi anni le strategie di trattamento stanno modificando sensibilmente questi out come così negativi. Non è solo la qualità di vita che viene ad essere compromessa ma anche l’aspettativa di vita diminuisce in media di 4 anni negli uomini e di 10 nelle donne se la malattia non viene adeguatamente trattata. La prognosi è peggiore nei pazienti colpiti da malattia con alta attività infiammatoria o che presentano sintomi extra articolari. L’artrite reumatoide implica notevoli costi sia per i singoli pazienti che per la società. Una stima complessiva dei costi diretti in Italia (spese mediche per le cure) rileva un ammontare di circa 1 miliardo di euro per anno che sale a 5 miliardi calcolando anche i costi indiretti (legati a perdita di lavoro/produttività del malato e di chi lo assiste ed alla forte riduzione della qualità di vita con compromissione anche degli aspetti affettivi/psichici). In media si spendono per ogni malato circa 14.000 euro/anno che possono arrivare a 23.000 se la malattia giunge agli stadi più avanzati. I costi sociali infatti aumentano in modo esponenziale con l’aggravarsi dell’affezione. È stato calcolato un incremento di circa 6 volte nel passaggio dalla condizione di autonomia alla perdita dell’autosufficienza. La disabilità è il fattore che maggiormente influenza i costi. Il controllo della malattia, quindi, preserva dall’incremento dell’onere finanziario.

Patogenesi

L’ipotesi attualmente sostenuta circa la patogenesi (causa) dell’artrite reumatoide è che, nell’individuo geneticamente suscettibile (soggetto predisposto), un evento scatenante ambientale attivi una risposta infiammatoria con scatenamento di un processo autoimmune in grado di portare alla malattia. La tappa iniziale coinvolge cellule del sangue e dei tessuti (macrofagi e cellule dendritiche) che hanno il compito di riconoscere, processare (esaminare) l’agente scatenante (antigene) di presentarlo ai linfociti (principali cellule immunitarie deputate alla difesa dell’organismo da agenti esterni o da agenti “interni” che l’organismo non riconosce però come propri). In un soggetto normale l’antigene sarà eliminato e non si avrà malattia; in un soggetto predisposto il processo invece non si spegnerà e si avrà una risposta infiammatoria immuno-mediata attraverso la produzione di molecole (citochine) che causano infiammazione e quindi un’artrite. L’artrite sarà poi più o meno evolutiva e più o meno grave a seconda della genetica dell’organismo, della potenza dell’agente scatenante e della risposta di difesa (immunitaria) dell’organismo. Il processo patogenetico che porta alla malattia inizia peraltro prima della sua manifestazione clinica. La positività degli anticorpi anti fattore reumatoide e anti citrullina può precedere la malattia anche di anni. Questa è la fase asintomatica della malattia. Poi avremo una fase di artralgie, cosiddetta fase indifferenziata, e infine l’estrinsecazione vera e propria della malattia. Nel processo infiammatorio intervengono sia i linfociti T che i linfociti B; questi ultimi secernono il fattore reumatoide (FR) e gli anti citrullina (anti CCP) che ha un ruolo chiave nello sviluppo della malattia. La malattia nasce fuori dalle articolazioni (si pensa a bocca e polmone) per poi estrinsecarsi maggiormente a livello articolare, in particolare a livello della membrana sinoviale (membrana che riveste all’interno le articolazioni). È a tale livello che le cellule infiammatorie producono una grande varietà di sostanze infiammatorie che iniziano e poi mantengono lo stato infiammatorio e che poi produrranno una serie di molecole che degraderanno e riassorbiranno il tessuto osseo e la cartilagine con conseguente danno strutturale articolare irreversibile; il danno articolare è l’elemento che condiziona maggiormente la disabilità a lungo termine.

Aspetti clinici

L’esordio della malattia è estremamente variabile. Nella maggioranza dei casi è graduale e insidioso con le caratteristiche di poliartrite simmetrica (bilaterale, sia a destra che a sinistra) e coinvolgimento delle mani e dei piedi e successivo interessamento delle articolazioni più prossimali. Le articolazioni maggiormente colpite sono quindi le piccole articolazioni delle mani, le interfalangee prossimali (IFP) e le metacarpo falangee (MCF), i polsi, le metatarsofalangee (MTF), le interfalangee prossimali dei piedi; possono essere interessate anche le ginocchia, i gomiti, le caviglie, le spalle, le anche, la colonna cervicale, le temporo-mandibolari. L’artrite reumatoide è quindi una poliartrite con distribuzione simmetrica, a carattere aggiuntivo (nel senso che la malattia tende a colpire nuove articolazioni senza risoluzione dell’infiammazione nelle sedi precedentemente interessate) e con andamento centripeto (dalla periferia al centro). Accanto alla forma ad esordio poliarticolare ci può essere una forma a espressione mono-oligoarticolare (vengono colpite una o fino ad un massimo di 4 articolazioni), una forma a esordio sistemico (con febbre e sintomi generali), una forma ad espressione simil- polimialgico con interessamento dei cingoli scapolo omerale (spalle-collo) e pelvico (basso schiena ed anche-cosce), e una forma ad esordio “palindromico” caratterizzate da episodi di dolore e tumefazione in una o più articolazioni della durata di 2-3 giorni, ad intervalli fra loro variabili, con risoluzione spontanea, migranti. In questa forma sono maggiormente interessate le mani e i polsi, poi le ginocchia e le spalle. Il sintomo principale è il dolore, spontaneo, continuo, maggiormente notturno ma anche peggiorato dall’uso dell’articolazione. Un altro sintomo frequente e molto caratteristico è la rigidità articolare, più pronunciata dopo lunga inattività e in particolare presente al mattino, generalmente di lunga durata (> di 30 minuti). Il principale segno clinico è il gonfiore delle articolazioni causato dal versamento (accumulo di liquido infiammatorio) che si accumula nelle articolazioni interessate, dalla ipertrofia (ingrossamento) della membrana sinoviale e dal liquido (edema) che si accumula nei tessuti periarticolari. Ci può essere anche rossore e calore della pelle sopra le articolazioni infiammate. Da segnalare che talora questi segni, indicativi dell’infiammazione, possono mancare specie nelle forme ad esordio insidioso e con scarsa infiammazione. In questi casi acquista molta importanza la dolorabilità evocata dalla palpazione e dalla mobilizzazione dell’articolazione. Un altro segno dell’impegno articolare è la limitazione della funzione (difficoltà a muovere l’articolazione) legata all’infiammazione e al dolore che la mobilizzazione provoca. La deformità e il blocco (anchilosi) articolare sono problemi più tardivi e legati all’evoluzione della malattia. Alle mani, le due articolazioni più precocemente interessate sono la II e III metacarpofalangea; le articolazioni distali delle dita (IFD) sono raramente colpite. Tardivamente le deformità possono portare a deviazioni della mano tipo a colpo di vento o a deformità delle dita e della mano particolari (a collo di cigno, a gobba di dromedario, a gobba di cammello). L’impegno dei piedi può portare al crollo della arcata plantare con completo alterato appoggio; tale danno, associato ad altre deformità, è causa del piede triangolare reumatoide. Tutto il piede può comunque essere coinvolto dal processo reumatoide. Il coinvolgimento del ginocchio è frequente e precoce. L’impegno del ginocchio può essere causa della comparsa della cisti di Baker che non è altro che una estroflessione (cisti) a livello del cavo popliteo (regione posteriore del ginocchio) ripiena di liquido sinoviale e legata all’aumento della pressione nella articolazione dovuta al versamento, alla ipetrofia della membrana sinoviale con conseguente compromissione dell’apparato capsulo legamentoso del ginocchio. Le anche sono colpite nel 25-30% dei casi. L’impegno delle caviglie è meno frequente rispetto a quello dei piedi. La colonna cervicale, quando colpita, può essere causa di impegno neurologico (legato alla compressione del midollo spinale) e rappresenta un segno di gravità di malattia. Possono anche essere colpite le articolazioni temporo-mandibolari, le sternoclaveari, le manubrio-sternali oltre ad altre sedi, meno frequenti. Oltre alle strutture articolari possono essere colpiti anche i tendini con presenza di tenosinoviti che possono rappresentare anche il primo sintomo di malattia. Le tenosinoviti possono complicarsi con la rottura dei tendini. Si possono avere dita a scatto e sintomi legati a compromissione del nervo mediano al polso (tunnel carpale). Possono essere presenti anche borsiti (infiammazioni delle borse) come la borsite del gomito, delle spalle e la borsite del trocantere (femore).

Manifestazioni extrarticolari

I pazienti con artrite reumatoide possono manifestare, in una percentuale non trascurabile, anche alterazioni in sedi extra-articolari. Le manifestazioni extra-articolari si suddividono in manifestazioni legate alla localizzazione del processo reumatoide in tessuti come le sierose (pericardio, pleura), la cute (noduli reumatoidi) e altri tessuti e organi, in complicanze della malattia (come l’osteoporosi), in malattie associate come la sindrome sicca (Sjogren) e in complicanze della terapia medica. Nel decorso di malattia, si può avere coinvolgimento della cute, dei muscoli, del sistema nervoso sia periferico che centrale, dell’osso, del cuore, del polmone, del rene, dell’apparato gastrointestinale, dell’occhio. I noduli reumatoidi sono tra le principali manifestazioni del coinvolgimento cutaneo. Possono essere sottocutanei o intracutanei. Si formano nelle zone sottoposte a maggior pressione come a livello dei gomiti e degli avambracci ma anche a livello di nuca e sacro negli allettati; hanno dimensioni variabili, consistenza duro elastica e poca tendenza ad ulcerarsi. Sono presenti maggiormente nei pazienti con fattore reumatoide positivo ad alto titolo e sono legati ad un processo vasculitico reumatoide. Talora sono peggiorati dal Methotrexate (nodulosi da MTX). Nella gestione della malattia e nelle sua complicanze tardive va anche considerato il rischio cardiovascolare. I pazienti con artrite reumatoide hanno aumentato rischio cardiovascolare con maggior rischio di problematiche ischemiche cardiache e cerebrali. Si parla di aterosclerosi accelerata legata all’infiammazione causata dalla malattia.

Come si fa la diagnosi

La diagnosi dell’artrite reumatoide è una diagnosi clinica; si basa cioè sulla presenza e persistenza di alcuni segni e sintomi in particolare sulla presenza di artrite (infiammazione) persistente (da almeno 6 settimane) di almeno una articolazione non spiegata da altre cause, associata alla positività del fattore reumatoide (FR), degli anticorpi anti citrullina (anti CCP), all’aumento della proteina C reattiva. I pazienti hanno di solito esordio di dolore e tumefazione (artrite) ai polsi, alle metacarpo falangee (le articolazioni tra mano e dita), alle interfalangee prossimali (le articolazioni mediane delle dita), con presenza di un’ artrite simmetrica e con rigidità mattutina maggiore di 30 minuti. Ci sono precisi criteri classificativi internazionali per la malattia. Il coinvolgimento articolare può interessare poche, molte articolazioni sia piccole (mani e piedi) che grosse. Il FR e gli anti CCP possono essere positivi o negativi e l’impegno infiammatorio può essere più o meno grave. In sostanza i malati possono avere espressione clinica diversa. La presenza di noduli reumatoidi e di alterazioni radiologiche sono aspetti in genere più tardivi. Già questo ci dice che la sola presenza del fattore reumatoide non è elemento che da solo può farci fare la diagnosi di malattia potendolo trovare in una percentuale di soggetti sani, specie se anziani, o in pazienti con altre malattie non solo reumatologiche.

Artrite precoce

La diagnosi precoce della malattia è molto importante per poter bloccare precocemente (finestra terapeutica) lo sviluppo della malattia. Numerosi dati fanno pensare che fin dalle prime fasi di malattia si determinano processi infiammatori importanti che condizionano il successivo andamento della malattia. I danni erosivi (riassorbimento dell’osso) sono spesso precoci, manifestandosi in una elevata percentuale di pazienti nei primi due anni di malattia. Ecco perché la diagnosi precoce, al primo manifestarsi della malattia, è importante: la malattia va bloccata, possibilmente guarita o fatta decorrere in maniera più benigna. La diagnosi precoce e un trattamento adeguato in base ai fattori prognostici (di gravità) presenti nel singolo malato appaiono essenziali.

Diagnosi precoce

Il primo passo è quello di identificare quindi precocemente la malattia, possibilmente entro l’anno, meglio entro le prime sei settimane dall’esordio dei sintomi. Gli elementi di maggior sospetto per un’artrite reumatoide precoce, elementi che giustificano l’invio immediato del paziente allo specialista reumatologo, sono: Sintomi entro 1 anno:
  • Dolore alle MCF (metacarpo falangee)
  • Rigidità mattutina di almeno 60 minuti
  • Dolore maggiore alle prime ore del mattino
  • Familiarità per AR (familiare primo grado)
  • Difficoltà a fare il pugno
  • Dolore alla compressione delle MCF (test della gronda positivo)

Evoluzione e fattori prognostici

La malattia ha un andamento variabile. Meno del 10% dei pazienti presenta un processo benigno che tende a limitarsi. Questo accade per lo più per effetto della terapia in quanto le remissioni spontanee senza trattamento sono rare. Nella maggioranza dei casi le fasi infiammatorie si alternano a periodi di stabilizzazione o regressione mentre ancora in una percentuale non ben valutabile, ma attestabile in circa 1/3 – ¼ dei casi, l’andamento è rapidamente progressivo con precoce e importante danno erosivo. Classicamente l’andamento dell’artrite reumatoide è diviso in:
  • forma autolimitantesi o pauciespressiva < 10%
  • forma persistente non erosiva < 30%
  • forma persistente erosiva circa 60&
Il tipo di progressione di danno radiologico è difficile da predire e in letteratura si riportano vari andamenti: sviluppo lento iniziale e quindi crescita esponenziale o lineare, fase rapida precoce e poi stabilizzazione del danno o ancora andamento con intervallo libero di circa 2-3 anni fra inizio di malattia e comparsa delle prime lesioni e poi rapida progressione per circa sette anni con successiva fase notevolmente più lenta. Certamente questi aspetti risentono anche dell’azione della terapia oltre che delle caratteristiche individuali di malattia. I primi due anni di malattia sono fondamentali per il danno erosivo. Risulta importante identificare nel singolo paziente quegli elementi clinici che suggeriscono una malattia ad evoluzione peggiore. I fattori prognostici (i fattori che predicono l’evoluzione più grave) sono stati identificati.  

Fattori predittivi di persistenza della sinovite

  • durata dei sintomi superiore a 12 settimane
  • positività per fattore reumatoide ed anti peptidi citrullinati
  • interessamento di polso/MCF/IFP o grosse articolazioni
  • sesso femminile

Fattori predittivi di severità di malattia (danno radiologico e disabilità)

Fattori genetici:
  • HLA DR4 (epitopi condivisi del DRB1)
Fattori demografici e clinici:
  • durata di malattia
  • indici di disabilità basale
  • attività clinica basale (n° di articolazioni interessate, score di attività della malattia)
  • basso livello socioeconomico
  • età precoce di esordio
  • interessamento extra articolare
Fattori bioumorali:
  • positività e titolo fattore reumatoide
  • riattanti della fase acuta (VES, PCR)
  • anticorpi verso peptidi citrullinati (anti CCP)
Fattori correlati all’imaging:
  • score erosivo basale (Rx)
  • edema osseo e sinovite alla risonanza magnetica

Approccio attuale al trattamento

Nell’artrite reumatoide il trattamento è diretto a bloccare il processo infiammatorio che è alla base della malattia, attenuare i sintomi, preservare la funzionalità, prevenire il danno strutturale (e la disabilità), mantenere una normale qualità di vita. Gli obiettivi del trattamento sono diversi a seconda che si abbia una malattia precoce, una malattia già stabilita o una malattia già evoluta e di vecchia data. Il trattamento peraltro deve essere mirato a raggiungere un obiettivo di remissione sostenuta o bassa attività della malattia in ogni paziente. L’obiettivo di remissione è fondamentale nella malattia all’esordio mentre la bassa attività è un obiettivo più realizzabile nei pazienti con malattia di vecchia data e che abbiano già fallito varie terapie. Comunicare al paziente questi obiettivi e modificare rapidamente la terapia, misurando la malattia, con controlli ravvicinati per raggiungere gli obiettivi previsti è quindi fondamentale (concetto del T2T “treat to target). Questo programma di trattamento ha dimostrato di portare i migliori risultati in termini di outcome (risultati) di malattia. La terapia prevede l’uso di farmaci sintomatici (anti infiammatori, cortisonici) e di farmaci di fondo (DMARDs), farmaci in grado di bloccare i meccanismi patogenetici di malattia. Questi ultimi vengono divisi in farmaci sintetici tradizionali, nuove molecole sintetiche e biotecnologici. Queste sono in breve le 12 raccomandazioni EULAR sul trattamento: 1. La terapia con DMARD (farmaci di fondo) deve essere iniziata non appena viene formulata la diagnosi di artrite reumatoide 2. Il trattamento deve essere mirato a raggiungere l’obiettivo remissione o bassa attività di malattia in ogni paziente 3. Il monitoraggio deve essere frequente specie all’esordio 4. Il Methotrexate (MTX) è il farmaco di fondo principale 5. Se MTX non tollerato ci si avvale di altri farmaci (leflunomide, salazopirina, altri) 6. Il cortisone deve essere preso in considerazione a basso dosaggio nelle prime fasi di malattia, ridotto gradualmente e sospeso appena possibile 7. – 8. Se l’obiettivo non viene raggiunto con la prima strategia di trattamento, questa deve essere rapidamente modificata con l’aggiunta di altri farmaci di fondo o di biotecnologici se malattia molto attiva 9. – 12. Le altre raccomandazioni riguardano il migliore utilizzo dei farmaci biotecnologi o dei nuovi farmaci sintetici. Risulta altrettanto importante nel piano terapeutico la valutazione del paziente non solo dal lato infiammatorio/terapeutico farmacologico. Vanno sentiti i suoi bisogni, le sue aspettative, i suoi problemi, le sue paure. Va intrapreso un percorso di sostegno psicologico se necessario. Va considerata anche la problematica della “work ability” spesso condizionata negativamente dalla malattia. Condividere il piano terapeutico con una comunicazione efficace e condivisa sono aspetti fondamentali nella gestione della malattia. Anti infiammatori (FANS) Sono solitamente i primi farmaci impiegati per trattare l’artrite. Sebbene i vari agenti di questa classe siano strutturalmente diversi hanno tutti un analogo meccanismo di azione. Questi agenti hanno proprietà analgesiche ed antinfiammatorie ma non modificano il corso della malattia. Essi quindi non possono essere considerati come unico trattamento farmacologico. Sono divisi in FANS tradizionali e farmaci antinfiammatori (COX2 selettivi) che hanno minor tossicità gastrointestinale. Il loro uso peraltro va limitato a brevi periodi considerato la loro tossicità cardiovascolare. Nei pazienti a rischio cardiovascolare (pazienti cioè con storia di infarto, di ictus, con fattori di rischio importanti per cardiopatia ischemica) vanno quindi utilizzati con cautela e solo per breve periodo. Occorre ricordare inoltre che, come tutti i FANS, anche i COX-2 selettivi, sono controindicati nei pazienti con insufficienza renale, scompenso cardiaco, cirrosi epatica scompensata e in pazienti in terapia anticoagulante. I FANS possono essere associati agli analgesici (paracetamolo, tramadolo); non vanno associati fra loro. Corticosteroidi I farmaci steroidei sopprimono l’infiammazione e hanno dimostrazione anche di agire inibendo parzialmente l’evoluzione erosiva. La loro efficacia nell’artrite reumatoide, specie precoce, è indiscutibile tuttavia gli effetti collaterali derivanti da una somministrazione a lungo termine ne limitano l’impiego nei regimi terapeutici cronici. Vanno utilizzati, se malattia attiva, per il più breve periodo possibile e a basso dosaggio. Tra gli effetti indesiderati correlati alla terapia cronica cortisonica uno dei principali è l’ osteoporosi. Studi epidemiologici indicano che il trattamento corticosteroideo quadruplica il rischio di frattura vertebrale e raddoppia quello di frattura femorale e radiale. Per questo i pazienti che utilizzano steroide a dosaggi > di 5 mg per più di 3 mesi dovrebbero essere profilassati con vitamina D, calcio e farmaci specifici per l’osso in relazione al loro rischio fratturativo. Farmaci di fondo tradizionali (DMARDs: disease modifing antirheumatic drugs) Si tratta di farmaci in grado di intervenire sui meccanismi patogenetici della malattia. Sono quindi in grado di influenzare il processo evolutivo della malattia piuttosto che offrire semplicemente un sollievo sintomatologico. Li accomuna la lenta azione, l’intervallo cioè, in genere di alcune settimane, tra l’inizio della somministrazione e l’effetto clinico. Il farmaco di fondo di riferimento è il Methotrexate, farmaco “ancora” per la terapia dell’ artrite reumatoide. Viene utilizzato per bocca o sottocute a dosaggi tra i 10 mg e i 25 mg alla settimana. Per i dosaggi maggiori di 15 mg è preferibile la somministrazione sotto cute. Altri farmaci di fondo utilizzati sono la salazopirina, la idrossiclorochina, la leflunomide e, in minor misura, la ciclosporina. Farmaci di fondo biotecnologici Da alcuni anni sono a disposizione i farmaci biotecnologici. Sono farmaci con caratteristiche diverse. Alcuni contrastano selettivamente alcune molecole che sono causa dell’infiammazione nell’artrite reumatoide come gli anti TNF alfa (etanercept, infliximab, adalimumab, golimumab, certolizumab), gli anti IL6 (tocilizumab, sarilumab); altri bloccano l’avvio del processo autoimmune (abatacept); altri agiscono contro le cellule che producono gli anticorpi (rituximab). L’efficacia di questi trattamenti risulta spesso superiore a quella che si ottiene con farmaci convenzionali ed è maggiore se vengono associati al Methotrexate (MTX): vanno utilizzati quindi preferibilmente in associazione a questo farmaco. Il loro utilizzo è consentito nei pazienti che non rispondono alle terapie tradizionali condotte utilizzando singoli farmaci o in associazione per un tempo adeguato e al dosaggio massimo previsto o tollerato per i singoli farmaci. Sono farmaci in grado di contrastare l’evoluzione di malattia e vanno considerati quindi farmaci di fondo. Il loro maggior rischio è sicuramente quello infettivo che va attentamente monitorato. Precise linee guida ne regolano il loro uso e monitoraggio. Sono ora in commercio, per alcuni di questi farmaci i biotecnologici, i biosimilari. Si tratta di farmaci simili agli originatori che hanno perso il brevetto. Hanno dimostrazione di efficacia e sicurezza comparabili agli originatori. Il loro utilizzo è quindi consigliabile. Nuovi farmaci di fondo sintetici Recentemente sono entrati in commercio nuovi farmaci sintetici (inibitori delle JAK kinasi), non biologici, che agiscono con un meccanismo intracellulare. I due farmaci utilizzabili sono tofacitinib e baracitinib. Sono farmaci che si assumono per bocca, con efficacia maggiore dei farmaci tradizionali di fondo, efficaci come i biologici, utilizzabili in associazione con il Methotrexate o anche da soli. Vengono utilizzati se la terapia tradizionale con MTX o i farmaci tradizionali non agisce o se il paziente ne è intollerante o anche dopo il fallimento dei farmaci biologici.

Terapie terapeutiche di sostegno

Terapia fisiatrica riabilitativa I pazienti con artrite reumatoide hanno un elevato rischio di progressivo peggioramento della funzionalità articolare nel corso degli anni. Le principali limitazioni funzionali sono dovute al dolore, alla riduzione della motilità articolare, all’ipotrofia muscolare, alla riduzione della resistenza e capacità aerobica. Spesso si associano anche motivazioni di tipo psicologico con ansia e depressione che compromettono ulteriormente la capacità di affrontare le comuni attività quotidiane. La fisioterapia è una componente essenziale nel trattamento complessivo della malattia perché è in grado di contrastare tali eventi dannosi attraverso interventi generali a carattere prevalentemente educativo e preventivo ma anche con misure specifiche mirate alla condizione di ciascun paziente. I livelli di intervento possibili possono essere riassunti in quattro momenti: addestramento alla prevenzione del danno (economia articolare), addestramento all’autonomia (uso di ausili), rieducazione specifica e trattamento in relazione all’intervento chirurgico. Economia articolare Il primo passo da compiere è quello di istruire il paziente sulla natura e sulle conseguenze della affezione cercando di far luce su pregiudizi, luoghi comuni che spesso sono fonte di ulteriore preoccupazione e sgombrare il campo da atteggiamenti vittimistici e passivi per ottenere la massima collaborazione. Il successo del trattamento passa dal convincimento dell’importanza del prendersi cura delle proprie articolazioni. Il sovraffaticamento articolare in occasione di gesti semplici, usuali e ripetitivi è un fattore di deterioramento, di comparsa e di aggravamento delle deformazioni. L’economia articolare è una tecnica che permette di ridurre il rischio di deterioramento articolare. Essa si basa sulla educazione gestuale attraverso la quale il paziente apprende quali siano i movimenti scorretti da evitare e quali invece quelli più appropriati. Lo scopo è quello di ridurre il più possibile gli sforzi e le sollecitazioni che si esercitano sulle strutture articolari interessate dalla malattia in modo da facilitare i movimenti e renderli più confortevoli quando sono dolorosi e faticosi. Addestramento all’autonomia Si tratta di un intervento più specifico ed articolato del precedente che deve essere individualizzato in base al tipo di danno riconosciuto nel singolo paziente. Il bilancio funzionale comprende una analisi del danno presente, del grado di recupero e del danno ulteriore prevedibile. Le difficoltà dovrebbero essere analizzate ed espresse nella varie dimensioni del vivere quotidiano (spostarsi, mangiare, vestirsi, cura della persona, attività lavorativa, ricreativa etc.) in modo da attuare delle strategie adattative di supporto. Ciò si rende possibile attraverso l’adattamento dell’ambiente e la realizzazione di aiuti tecnici (ausili, ortesi) in grado di aumentare, mantenere o migliorare la capacità funzionale del disabile. Perché il provvedimento risulti veramente efficace occorre che il paziente, dopo la fase di apprendimento, utilizzi regolarmente gli ausili in modo corretto inserendo il loro uso nel proprio comportamento quotidiano. Rieducazione motoria specifica Riguarda il trattamento riabilitativo individuale del danno funzionale osteomuscolare: ridotta ampiezza di movimento, ipotrofia muscolare, disturbo dell’equilibrio e del cammino. Il programma viene svolto nelle strutture fisiatriche da personale qualificato con esercizi di mobilizzazione passiva, assistita, attiva. Per aumentare l’estensibilità si eseguono esercizi di allungamento muscolare. Gli esercizi di mobilizzazione si associano generalmente a quelli di rinforzo muscolare. È dimostrato che un programma di esercizi statici o dinamici può migliorare la forza, la capacità aerobica e la prestazione fisica senza aumentare l’attività di malattia o aggravare il danno articolare. Trattamento in relazione all’intervento chirurgico In caso di trattamento chirurgico ortopedico è previsto un trattamento fisiatrico di preparazione e seguente all’intervento di rieducazione specifica in relazione al tipo di operazione, alla situazione del malato (bilancio articolare, patologie concomitanti etc.). La valutazione dei tempi e delle modalità è definita in accordo con il chirurgo. Terapia chirurgica La terapia chirurgica dell’artrite reumatoide ha principalmente lo scopo di prevenire le lesioni e le deformità articolari, correggere le complicanze, sostituire le articolazioni funzionalmente compromesse o, se ciò non è possibile, immobilizzarle completamente a scopo antalgico. Il suo utilizzo negli ultimi anni si è progressivamente ridimensionato in relazione alle nuove terapie e alle nuove strategie di trattamento. Il trattamento ortopedico va integrato con quello reumatologico e riabilitativo. Il piano di cura dovrebbe definire il “quando, come e dove” intervenire. L’indicazione si stabilisce sulla base della obiettività, della valutazione funzionale, dei dati di attività della malattia e di imaging. Le scelte dell’intervento dipendono dalle difficoltà tecniche, dai vantaggi prevedibili in relazione alle caratteristiche dell’operazione e del malato e, non ultimo, dall’esperienza dell’operatore. Mancanza di motivazione e aspettative irrealistiche del paziente rappresentano delle controindicazioni relative da considerare. È indispensabile una valutazione generale ed anestesiologica (rachide cervicale, articolazioni temporo mandibolari, funzione cardiocircolatoria, epatica e polmonare). Esiste un aumentato rischio di infezione correlato alla malattia o alla terapia. Occorre considerare poi le difficoltà tecniche legate alle condizioni dei tessuti come una ridotta qualità e quantità della massa ossea. Gli interventi chirurgici si possono così schematizzare:
  • sinoviectomia (artro/tenosinoviectomia): asportazione della sinovia patologica.
  • chirurgia dei tessuti molli periarticolari: interventi di stabilizzazione articolare, di riparazione tendinea, di liberazione dei nervi intrappolati (tunnel carpale, tunnel tarsale) ecc…
  • chirurgia articolare: sostituzione dell’articolazione compromessa (artroprotesi) o, dove questo non fosse possibile, fusione dell’articolazione (artrodesi).

Consigli sugli stili di vita

Alcuni consigli sono utili per una migliore gestione della malattia. Evitare il sovrappeso e contrastare l’obesità. L’obesità rappresenta un fattore infiammatorio e sono ampie le dimostrazioni di andamento di malattia e di risposta peggiore ai farmaci nei pazienti obesi. Pulizia bocca e igiene dentaria accurata. Una delle sedi ritenute esordio della malattia è la bocca per la presenza di un germe (porphiromonas gingivalis), nelle bocche sporche, che è in grado di denaturare le proteine e portare alla formazione degli anticorpi anti citrullinati (anti CCP), uno dei fattori causali della malattia. Abolizione del fumo. Il fumo è un cofattore di esordio di malattia, uno dei più importanti. Anche esso è in grado di denaturare nel polmone alcune proteine portando alla formazione degli anticorpi anti CCP. La malattia va peggio se si fuma. Dieta di tipo mediterraneo, poco ricca in grassi animali, preferendo proteine da carni bianche, pesce, legumi, ricca in fibre, verdura, frutta, antiossidanti, con carboidrati integrali, assicurando un corretto apporto di vitamina D. È una dieta antiinfiammatoria e che preserva un microbioma antiinfiammatorio e in equilibrio con la omeostasi dell’organismo. Attività fisica regolare meglio se aerobica: l’attività fisica, diversa a seconda dell’attività di malattia, ha un ruolo importante nel mantenere il benessere sia articolare che generale e contrastare il rischio cardiovascolare, aumentato nell’artrite reumatoide. Gli stili di vita corretti sono in grado di controllare meglio la malattia e di ridurre anche la problematica legata al maggior rischio cardiovascolare legato alla malattia.

Key Points

  • L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica su base autoimmune.
  • Colpisce maggiormente le piccole articolazioni delle mani e dei piedi con caratteristica di simmetria ed andamento aggiuntivo.
  • Ha gravità diverse ed espressioni cliniche diverse.
  • Se non curata ha una evoluzione erosiva e deformante nella maggior parte dei casi.
  • È importante la diagnosi precoce e un trattamento con l’obiettivo remissione di malattia o bassa attività infiammatoria entro i primi mesi, modificando la terapia se necessario con controlli stretti fino a raggiungimento dell’obiettivo.
  • Il programma di trattamento va condiviso con il paziente.
  • Il farmaco di riferimento per la terapia è il Methotrexate.
  • La terapia prevede anche l’uso di farmaci biotecnologici, dei loro biosimilari e delle nuove molecole sintetiche.
  • Sono importanti la terapia di sostegno e corrette norme igienico-dietetiche.
 
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