Fibromialgia

A cura del dott. Masen Abdel Jaber
U.O.C. Reumatologia Ospedale Santa Chiara – Trento
e del dott. Giuseppe Paolazzi
Reumatologo – Ospedale San Camillo – Trento
già direttore U.O.C. Reumatologia Ospedale Santa Chiara – Trento

Definizione

La fibromialgia o sindrome fibromialgica (SFM) è una forma generalizzata di reumatismo extra-articolare non infiammatorio, a eziologia incerta. La patologia può essere definita come una sindrome dolorosa cronica, caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso accompagnato da una costellazione di sintomi estremamente eterogenei quali astenia, disturbi del sonno, calo dell’umore e difficoltà di concentrazione. Frequente anche la presenza di punti elettivi di dolorabilità definiti “tender points”. Sono assenti alterazioni ematiche e radiografiche e non si riscontrano aspetti istopatologici (danni sui tessuti evidenziabili con esami al microscopio) caratteristici. Questa condizione viene definita “sindrome” poiché lo stesso paziente può presentare segni e sintomi estremamente diversi e non necessariamente di attinenza muscolo-scheletrica. Il corteo di disturbi presenti portano spesso il malato a consultare numerosi specialisti ed eseguire varie indagini laboratoristiche e strumentali prima che la diagnosi venga formulata. Originariamente sono state distinte due forme di SFM, una primaria e una secondaria, in base alla presenza o meno di una malattia reumatica associata che si ipotizzava potesse essere la causa della comparsa della fibromialgia. Più recentemente si preferisce parlare infatti di forme “concomitanti” indicando la presenza contemporanea, nei pazienti con fibromialgia, di altre malattie che potrebbero non avere necessariamente un rapporto causale con la stessa. Storicamente, condizioni simili a quella che oggi viene definita SFM sono conosciute da più di 150 anni. I sinonimi utilizzati per descriverla sono stati numerosi: tra i più noti quello di “fibrosite” coniato nel 1904 da Sir William Gowers, che aveva erroneamente attribuito a questa condizione un’origine infiammatoria. Nel 1977 due ricercatori canadesi, Hugh Smythe e Harvey Moldofky usarono il termine “fibromialgia” (introdotto nel 1976 da Hench) per indicare gli aspetti caratteristici di questa malattia (dolore diffuso, presenza di punti dolorosi, astenia e disturbi del sonno). Nel 1992 lo stesso termine è stato incluso nella classificazione mondiale delle malattie elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Epidemiologia

La SMF è una patologia caratteristica dell’età media, in particolare delle due fasce di età 25-35 e 45-55 anni. Alcuni studi indicano una più alta prevalenza nel gruppo di età compreso tra i 59 e i 74 anni. La prevalenza della malattia nella popolazione generale varia dal 2 al 4%, sebbene siano presenti in letteratura dati differenti in base anche ai criteri classificativi utilizzati. La fibromialgia si inscrive nelle sindromi dolorose croniche, gruppo di patologie che interessa circa l’8-10% della popolazione generale. L’alta prevalenza nei gruppi di età avanzati, potrebbe essere spiegata anche da un accumulo di casi in queste classi di età considerata la cronicità del disturbo. La fibromialgia può peraltro colpire anche soggetti in età più giovane, compresi adolescenti e bambini. La prevalenza nel gruppo di età tra i 9 e i 15 anni è stimata al 1.2%. La SFM rappresenta una delle maggiori cause di richiesta di visita sia specialistica reumatologica che di medicina generale. La SFM inoltre non è una patologia presente solo nei paesi industrializzati, ma è stata descritta anche nei paesi in via di sviluppo. La prevalenza della patologia è nettamente più alta nel sesso femminile con un rapporto F:M di 9:1 circa. Molto spesso le donne affette da SFM sono accomunate da condizioni simili: sono stati descritti livelli di istruzione scolastica medio-bassi, conflittualità famigliari, lavori poco gratificanti, eventi traumatici nella giovinezza. La motivazione della maggiore prevalenza nel sesso femminile non è tuttavia chiara. Non ci sono studi che dimostrino relazione tra fibromialgia e lunghezza del ciclo mestruale, uso di contraccettivi orali e durata del loro uso; non è stata dimostrata relazione con l’età della menopausa. È fuori discussione tuttavia che gli estrogeni svolgano un ruolo importante nella modulazione del dolore, alla pari dei ridotti livelli di testosterone. Probabilmente la differenza tra i due sessi è il risultato di una interazione tra fattori genetici, biologici, psicologici e socio-culturali diversi. Nel complesso peraltro le donne sono predisposte alle condizioni di dolore cronico come dimostrato ampiamente in letteratura. Le donne presentano maggior sensibilità al dolore che riconoscono più precocemente a causa di un corredo ormonale diverso che ne influenza la recezione e la modulazione. Nel sesso femminile è inoltre differente la modulazione del dolore legata al sistema oppioide per un minore rilascio di oppioidi endogeni con azione inibitrice sullo stimolo doloroso. Anche le differenze anatomiche (vagina e utero come porta di entrata di agenti esterni che possono causare sensibilizzazione midollare dolorosa) possono giocare un ruolo nella maggior percezione del dolore. Appare peraltro evidente come la sola biologia non possa essere l’unica responsabile di tali differenze. La SFM ha prevalenza maggiore anche nell’ambito degli stessi nuclei famigliari, sia per motivi genetici che per motivi ambientali. A tal proposito negli ultimi anni è stato evidenziato un ruolo dello stress cronico come agente predisponente lo sviluppo di fibromialgia: tale termine comprende svariate condizioni di disagio che possono essere di tipo familiare, psicologico, professionale, sessuale o educativo.

Cause

Dal punto di vista eziologico non sono state ancora identificate le cause alla base della malattia. Fattori genetici concorrono insieme a fattori ambientali (stress cronico, infezioni, dieta) allo sviluppo della patologia. Potenzialmente anche aspetti endocrinologici possono entrare a fare parte della catena eziologica della malattia. Indubbiamente, come descritto più avanti, condizioni di stress cronico e di disagio psicologico rappresentano un fattore fondamentale nella comparsa della malattia, motivo per il quale la patogenesi della SFM viene definita come di tipo bio-psico-sociale. Secondo tale modello quindi, vari fattori biologici (genetica, ormoni, altre patologie, infezioni), psicologici (stress, traumi, depressione) e sociali (condizione lavorativa, emarginazione, storia di abuso) interagiscono al fine di innescare i meccanismi di alterazione della percezione del dolore. Dal punto di vista patogenetico gli elementi citati causano una esaltazione delle vie di trasmissione ascendenti del dolore e una riduzione delle vie inibitore discendenti innescando pertanto alla fine una riduzione della soglia dolorosa: in questo modo i pazienti fibromialgici percepiscono dolore per stimoli più leggeri rispetto alla popolazione generale. L’iperalgesia e l’allodinia, osservabili nei pazienti fibromialgici, sembrano essere l’espressione di questa alterazione nocicettiva.

Diagnosi

La complessa presentazione clinica di questa sindrome è da sempre oggetto di dibattito e polemica all’interno del mondo medico e numerose sono le ricerche in materia di trattamento farmacologico e non farmacologico. La sindrome fibromialgica è stata per decenni una affezione che ha goduto di scarso prestigio nella “gerarchia delle malattie”. La ragione di questa blanda considerazione deriva dalla sua cronicità, dalla localizzazione diffusa dei sintomi, dall’assenza di alterazioni cliniche oggettivabili e dall’incertezza circa l’eziopatogenesi e le migliori modalità terapeutiche. La diagnosi è puramente clinica, basandosi sul riferito del paziente e sulla obiettività. A quest’ultimo proposito utile è la positività di punti dolorabili (18 in tutto il corpo) definiti tender points. Sebbene negli ultimi anni il loro ruolo è stato ridimensionato, la loro positività rappresenta un elemento di supporto per la diagnosi. Mappa dei tender points:
  • OCCIPITE (bilaterale, all’inserzione del muscolo sottoccipitale)
  • TRAPEZIO (bilaterale, al punto mediano del margine superiore del muscolo trapezio)
  • SECONDA COSTA (bilaterale, alla seconda sincondrosi costocondrale, appena a lato delle giunzioni sulla superficie superiore delle coste)
  • GRANDE TROCANTERE (bilaterale, posteriormente alla prominenza trocanterica)
  • GINOCCHIO (bilaterale, in corrispondenza del cuscinetto adiposo mediale del ginocchio, in sede prossimale rispetto alla linea articolare)
  • CERVICALE (bilaterale, superficie anteriore dei legamenti intertrasversari C5-C7)
  • SOVRASPINATO (bilaterale, all’origine del muscolo sovraspinato, al di sopra della spina scapolare, in prossimità del margine mediale della scapola)
  • EPICONDILO LATERALE (bilaterale, punto situato 2 cm al di sotto dell’epicondilo laterale)
  • GLUTEO (bilaterale, punto situato su quadrante supero-esterno della natica, nella plica anteriore del grande gluteo)
 

Clinica

Il dolore è il sintomo predominante della fibromialgia. Caratteristica del dolore è la sua cronicità e la diffusione pressoché ubiquitaria, sebbene l’esordio possa essere localizzato. Esso è definito con vari termini tra cui bruciante, lancinante, a fitte, mordente e rappresenta una forte limitazione alla vita del paziente, essendo peraltro percepito anche in maniera più accentuata rispetto ad altre patologie reumatiche come l’artrite reumatoide. Al dolore si associano sintomi quali tensione e fascicolazione ai muscoli, sensazione di gambe senza riposo, parestesie o marcata rigidità mattutina. Il paziente può descrivere artralgie alle mani e ad altre articolazioni con sensazione di limitazione della funzione, caratteristiche spesso confondenti e che potrebbero orientare erroneamente verso forme di reumatismi infiammatori. Una accurata anamnesi e una precisa attenzione alla tipologia dei sintomi riferiti orientano peraltro in maniera corretta la diagnosi. Il dolore può variare di intensità nell’ambito dei diversi momenti della giornata, essendo accentuato dai cambiamenti meteorologici, dal freddo e dall’umidità; può essere avvertito maggiormente in relazione a situazioni stressanti, a stati di tensione o a momenti particolari della vita come sovraccarico lavorativo o stress psichici. In alcuni pazienti può assumere le caratteristiche della iperalgesia (presenza di dolore eccessivo per lo stimolo che lo ha generato) e della allodinia (presenza di dolore per stimoli che in genere non provocano dolore). Difficilmente il paziente vive periodi senza dolore anche se possono esserci fasi di maggior benessere. Il dolore si accompagna alla positività dei punti dolorosi o tender points. La mappa dei punti dolorosi è stata individuata con chiarezza (18 punti distribuiti in varie aree corporee). Altro sintomo cardine è la stanchezza che può essere globale, talmente invalidante da costringere il paziente a letto per lunghi periodi della giornata, tanto talvolta da entrare in diagnosi differenziale con una altra sindrome funzionale definita sindrome da stanchezza cronica. L’astenia cronica, accompagnata da una sensazione di muscoli dolenti (“knotted muscles”), è segnalata da più di nove pazienti su dieci. Essa è predominante al mattino, peggiorando nel pomeriggio e non trovando miglioramento dopo un adeguato periodo di riposo. Spesso lavori anche non eccessivi o una attività fisica moderata favoriscono la stanchezza, motivo per il quale il paziente fibromialgico tende ad abbandonare l’attività motoria. Come già accennato possono essere presenti altri segni e sintomi, spesso aspecifici o di difficile altra interpretazione. Frequenti sono la cefalea muscolo-tensiva e i disturbi del sonno (insonnia, sonno non ristoratore, sonnolenza diurna, riduzione della fase REM) i quali peraltro concorrono nell’alimentare l’astenia. Comuni i sintomi legati al colon irritabile con dolori addominali e alternanza di stitichezza e diarrea, i disturbi dell’apparato genito-urinario come dolori pelvici, spasmi vescicali con minzioni frequenti, tensione genitale con fastidio al solo tocco, dismennorea, vulvodinia. Spesso i pazienti riferiscono vertigini e disfunzioni oto-vestibolari, distonia e dolore temporo-mandibolare, disturbi vasomotori periferici (come il fenomeno di Raynaud), ipersensibilità a luci o a suoni (fenomeni di sovraccarico funzionale). Netta correlazione è stata dimostrata con disturbi psichiatrici minori quali ansia e depressione, presenti in una percentuale non indifferente di casi (40-70%). La relazione temporale esistente tra la SFM e i disturbi psichici rimane controversa. Tuttavia, come già detto, almeno una parte dei ricercatori è concorde nell’affermare che ansia e depressione sono una conseguenza piuttosto che una causa. È evidente però che queste condizioni psichiatriche sono in grado di condizionare la variabilità della sintomatologia nei pazienti. In sintesi le situazioni psicologiche-psichiatriche rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo della fibromialgia vista la loro reale presenza in un buon numero di pazienti anche se in alcuni pazienti possono peraltro essere conseguenza della malattia. Alterazioni cognitive tipo disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione e difetto nella velocità di elaborare le informazioni sono altrettanto frequenti (“foggy brain” o “fibro-fog”). Dalla estrema eterogeneità di questo corteo sintomatologico deriva pertanto la preoccupazione del paziente e dei famigliari con conseguente richiesta di continui esami di laboratorio e strumentali, spesso ripetuti, fonte di errori diagnostici e di terapie non produttive.

Criteri diagnostici

I più recenti criteri classificativi (ACR/EULAR 2016) si basano su un punteggio costituito da una parte sul riferito dolore del paziente in varie aree corporee e dall’altra su altri sintomi di accompagnamento quali depressione, astenia, disturbi gastrointestinali, insonnia. Fondamentale è ovviamente avere escluso altre potenziali malattie alla base del quadro clinico e aver accertato la cronicità (>3 mesi) dei disturbi. Data tale cronicità la SFM rappresenta un problema reale, che si lega a un concreto peggioramento della qualità di vita personale, familiare e professionale e fonte di dispendio di tempo e denaro al fine di trovare prima una diagnosi e poi una cura efficace.

Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale va posta nei confronti di affezioni reumatologiche e non che possono presentarsi con sintomi simili. Le principali patologie che entrano in diagnosi differenziale sono:
  • muscolo-scheletriche (sindromi dolorose regionali, reumatismo miofasciale, sindrome da iperlassità legamentosa, LES, artrite reumatoide, polimiosite, la sindrome di Sjogren, osteomalacia)
  • endocrino-metaboliche (ipotiroidismo-iperparatiroidismo)
  • neurologiche (radicolopatie nevralgie, neuropatie dolorose)
  • neoplastiche
  • infettive (Virus C, Borelliosi di Lyme legata a una Borellia trasmessa dalla puntura di una zecca)
  • psichiatriche.
La fibromialgia tuttavia può anche accompagnare altre malattie reumatiche tra cui artrite reumatoide, spondilite anchilosante o sindrome di Sjogren. Considerata la sovrapposizione dei sintomi fibromialgici con quelli di altre patologie è molto importante che il medico di medicina generale sappia, nel sospetto, indirizzare il paziente verso lo specialista reumatologo, medico che si farà poi carico di una diagnostica più orientata e della gestione del paziente, evitando indagini strumentali e specialistiche non utili. Una attenta anamnesi e un esame obiettivo accurato possono, nella maggior parte dei casi, escludere altre condizioni cliniche di dolore cronico e di astenia.

Fattori di rischio

  • Sesso femminile
  • Fattori socio-culturali: difficoltà coniugali, trascorsi di abuso sessuale, eventi traumatici in infanzia, scarso livello educativo, storia di emarginazione sociale.
  • Fattori psicologici: ansia, depressione, scarsa autostima (anche per lavori poco gratificanti)
  • Traumi fisici, quali incidenti stradali: possono essere il trigger della malattia
  • Altre condizioni dolorose croniche: lombalgia cronica, sindrome dell’intestino irritabile, vulvodinia.
 

Terapia

Considerata la complessità del paziente fibromialgico con tutte le variabili bio-psico-sociali-comportamentali presenti e la scarsa conoscenza sulle eventuali basi “biologiche” della malattia, il trattamento della fibromialgia è in larga parte empirico e individualizzato in ogni paziente. La SFM è una patologia ostica da trattare. La sua espressione clinica variabile e il dolore cronico, che la caratterizza, rappresentano una esperienza complessa che determina conseguenze invalidanti non solo sul piano fisico, ma anche su quello psicologico e sociale. L’intervento terapeutico di un singolo operatore non può essere sufficiente a garantire una gestione ottimale del dolore cronico e degli altri sintomi. Un approccio interdisciplinare (con fisiatri, terapisti del dolore, neurologi, psicologi) sembra quindi rappresentare la strategia terapeutica con migliori possibilità di successo. Tale trattamento si propone di aiutare il paziente a controllare il proprio dolore e i problemi correlati, di aiutare il paziente a migliorare il proprio livello di funzionalità fisica, di ridurre lo stress psicologico causato dalla malattia, di aiutare il paziente a un corretto uso dei farmaci; si propone in sostanza di migliorare la qualità di vita del paziente favorendo il ritorno alle proprie attività. In sintesi l’approccio terapeutico della SFM si basa su due percorsi paralleli, come evidenziato dalle recenti raccomandazioni delle più prestigiose società di reumatologia (Raccomandazioni ACR/EULAR 2016)
  • terapia farmacologica
  • terapia comportamentale

Terapia farmacologica

Allo stato attuale nel nostro Paese nessun farmaco ha ricevuto indicazione al trattamento della fibromialgia. Tale mancanza è legata al fatto che le terapie attualmente utilizzate presentano efficacia piuttosto limitata e gravata da effetti avversi superiori rispetto alla popolazione generale. Di fondamentale importanza sottolineare come il dolore fibromialgico è scarsamente responsivo agli analgesici tradizionali come Paracetamolo o agli antinfiammatori sia steroidei che non. Tale inefficacia pertanto giustifica l’utilizzo dei farmaci come semplici “accompagnatori” alle pratiche comportamentali. La loro scelta si base inoltre sui sintomi che presenta il paziente, essendo fondamentale quindi una individualizzazione dei trattamenti. Tra le terapie più utilizzate nella pratica clinica ricordiamo:
  • Amitriptilina
  • Duloxetina
  • Pregabalin
  • Farmaci oppiacei (Tapentadolo, Tramadolo)
  • Integratori (Palmitoiletanolamide, Ademetionina)
L’utilizzo della cannabis in questa patologia è ancora in via di definizione ma è probabile che nei prossimi anni rappresenterà una potenziale arma terapeutica.

Terapia comportamentale

Considerata la scarsa efficacia dell’approccio farmacologico, di fondamentale importanza risultano i percorsi comportamentali. Tra questi ricordiamo: Supporto psicologico L’intervento educativo innanzitutto è utile per migliorare la self-efficacy del paziente, favorire l’aderenza ai programmi terapeutici, distogliere l’attenzione dai sintomi orientandola verso il miglioramento della capacità funzionale e della qualità di vita. Il paziente deve, attraverso il supporto anche psicologico e le terapie comportamentali, diventare responsabile delle proprie scelte in materia di gestione della malattia (self management). Appare fondamentale impostare una corretta relazione paziente-terapeuta. È utile che gli incontri educativi vengano organizzati e svolti in piccoli gruppi, perché la possibilità di condividere le proprie esperienze con altre persone affette dalla medesima patologia può essere un importante strumento terapeutico. La terapia cognitivo-comportamentale è in grado di insegnare al paziente tecniche e strategie per la gestione degli aspetti emotivi legati a eventi stressanti. È cruciale motivare il paziente all’attività fisica graduale e costante, facendo riferimento al decondizionamento fisico e alla perdita delle capacità funzionali legate alla malattia. Anche le tecniche psicofisiche di rilassamento (training autogeno e tecniche di mindfulness) permettono il controllo del dolore modificando l’ansia o il comportamento presente in relazione alla sintomatologia. Esercizio fisico L’attività motoria è stata dimostrata come la terapia più efficace nell’ambito della SFM. L’esercizio fisico è in grado di apportare benefici sia sul piano fisico che psicologico, agendo attraverso il miglioramento del trofismo muscolare, migliorando la capillarizzazione e riducendo l’ipossia muscolare. L’attività motoria inoltre favorisce la secrezione di endorfine, aumenta la produzione di serotonina a livello cerebrale e attiva i meccanismi adrenergici di inibizione del dolore. L’inattività nei pazienti fibromialgici risulta deleteria sia sul piano fisico (riduzione forza muscolare, decondizionamento, maggiore rigidità), sia sul piano psicologico (paura del movimento, depressione, perdita di fiducia in se stessi). Sebbene le recenti linee guida non abbiano evidenziato una superiorità di un preciso tipo di esercizio fisico, l’attività più raccomandata è quella aerobica (corsa lenta, cyclette, cammino, nuoto), a intensità bassa-moderata, adattandolo alla situazione di partenza del paziente e poi incrementandola lentamente. L’esercizio fisico migliora anche il dolore, l’astenia e l’insonnia. L’aumento del dolore e della stanchezza, possibili inizialmente, diminuiscono con il proseguo dello stesso e possono essere evitati introducendo pause nella singola seduta. Nell’ambito dello spettro dell’attività fisica pare riscontrare promettenti risultati l’attività di miorilassamento e stretching quali yoga, pilates o tai-chi. Utile anche la ginnastica in acqua, in quanto quest’ultima permette al paziente di trovarsi in una situazione di scarico ponderale, favorendo esercizi che altrimenti non sarebbero in grado di eseguire. La temperatura dell’acqua ottimale (tra 28° e 32°) può donare sollievo al dolore. Terapie complementari Le cure termali, compresi i “bagni di fieno” possono avere benefici in singoli pazienti. La validità delle terapie fisiche (TENS, ultrasuoni e altre) appare limitata. L’elettrostimolazione nervosa trans-cutanea (TENS) è la forma più comune di corrente analgesica e trova giustificazione se il dolore è localizzato. Il massaggio, dal punto di vista terapeutico, sembra contribuire alla riparazione tessutale, alla modulazione del dolore, al rilassamento muscolare e al miglioramento dell’umore ma la sua reale efficacia è ancora da dimostrare. Controversi sono i dati sull’agopuntura anche se in singoli pazienti può essere un buon approccio.

Key points

  • La fibromialgia è una forma di reumatismo extrarticolare non infiammatorio
  • Patologia frequente tra le donne in tutte le fasce di età particolarmente quelle centrali.
  • Le cause non sono note: l’ipotesi più plausibile rimane quella di una interazione tra fattori biologici, ambientali e psicologici, con particolare importanza alle condizioni di stress cronico come induttori della patologia.
  • Il sintomo cardine è il dolore diffuso, cronico e spesso invalidante per il paziente. Sintomi di accompagnamento sono astenia profusa, calo dell’umore, disturbi del sonno e deficit di concentrazione.
  • La diagnosi è puramente clinica, non essendo utili indagini laboratoristiche o strumentali per confermare la diagnosi.
  • La terapia si basa soprattutto su un approccio comportamentale (attività motoria, supporto psicologico) in associazione a tentativi farmacologici, gravati tuttavia da un alto tasso di inefficacia.
 
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